lunedì 27 giugno 2011

Cinema e TV, la realtà e il suo doppio: Ma i sogni svaniscono all'alba?

Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sull'impressione di realtà del cinema, dalle origini della settima arte alle moderne neuroscienze. La maggior parte dei pensatori sono concordi nel ritenere che questo fenomeno è dovuto principalmente al suo linguaggio molto simile alla realtà quindi il nostro cervello è abituato a riconoscere come reale ciò che vede e sente.

Questa caratteristica del Cinema, ma anche della televisione, ha fatto si che questi mezzi si siano sviluppati in diverse direzioni ma principalmente sono due le forme che lo hanno contraddistinto fino ad oggi: Fiction e Reality.

Tutti sappiamo distinguere un film da un documentario o la pubblicità da un telegiornale, ma non tutti sappiamo che l'enunciatore del messaggio audiovisivo ha il potere di mischiare le carte e, quindi, far passare per reale ciò che è invece finto! Non mi dilungo a citare i casi assai noti come lo sceneggiato radiofonico La guerra dei mondi (1938) di Orson Welles, dove gli spettatori credettero che la terra fosse stata veramente invasa dagli alieni, o la polemica sorta riguardo allo sbarco sulla luna dove alcuni ritennero essere falsi i filmati degli astronauti sostenendo che fossero stati girati in studio...

La specificità con cui si costruisce il documento audiovisivo (che sia cinema o televisione) ha in se il DNA del falso.

Proprio per queste sue “naturali” proprietà cinema e televisione sono state da sempre oggetto dell’interesse dei politici che cercano di controllarne gli enunciati (programmi e conduttori). E’ proprio di questi giorni la bagarre per neutralizzare i conduttori scomodi al potere governativo.

In Italia, però, si è creata una situazione singolare in quanto un imprenditore televisivo ha fatto la scalata del potere politico avvalendosi dell’uso massiccio delle sue emittenti e ci è riuscito! Stessa cosa sta tentando un imprenditore televisivo locale salentino. Il disegno è molto evidente: si enfatizzano i campanilismi (siamo i migliori), si fortifica l’idea del noi (siamo forti e invincibili), ci si arrocca in una sorta di autarchismo che sa un po’ di ritorno all’economia medievale (non abbiamo bisogno di nessuno noi, siamo autosufficienti, comprate la merce della nostra terra) somministrando così la suggestione di una facile risoluzione dei problemi economico e sociali.

In questi giorni, infatti, sull’emittente locale che si fa promotrice della costituenda Regione Salento, vengono trasmessi vari spot pubblicitari che spingono questa idea separatista in maniera spudoratamente semplicistica.

Non so fino a quanto si è coscienti che è estremamente pericoloso trattare il tessuto sociale come un prodotto commerciale. La pur breve storia dei mass media ce lo ha dimostrato. Ricordate il Duce che nei cinegiornali (la TV di quegli anni) inaugurava aeroporti con gli stessi aerei che si spostavano e sembravano moltiplicarsi virtualmente? L’idea mediatica che si formò era appunto quella di una nazione forte, molto forte, capace di vincere ovunque e comunque… la sovraesposizione dell’immagine del condottiero costituiva l’idea forte che rimandava ad aspettative altrettanto che non potevano essere soddisfatte soprattutto perché era una finction, non la realtà. Proprio coma la pubblicità!

L’uso della televisione a fini di acquisizione del consenso sociale richiede una sorta di identificazione tra l’emittente e gli spettatori, cioè i cittadini devono sentire che la televisione rappresenti le loro aspirazioni, i loro desiderata. E’ per questo che l’emittente locale di cui parliamo scende in campo mettendo in primo piano 10 battaglie sulle quali nessuno può essere contrario: Ambiente, sviluppo economico, buona sanità … etc.
L’editore Pagliaro dichiara nel suo sito web: «noi puntiamo su autoproduzioni di qualità, creando una "family tv" capace di regalare momenti di interesse per tutti i componenti della famiglia, ma che soprattutto si inserisce in una scelta strategica che rifiuta l'omologazione».

La family TV consiste nell’avocare a se il diritto di rappresentare la popolazione e di compiere scelte in suo nome. In realtà gli invitati alle trasmissioni nelle varie rubriche rappresentano i ceti dirigenti della società, politici, capitani di aziende etc, quelli che dovrebbero “portare i voti” e spostare l’elettorato. Nel commerciale vengono chiamati i responsabili degli acquisti! Ma oggi, per fortuna, non siamo più negli anni ’50. Il monopolio mediatico non è più granitico come in passato. Rappresentare un sogno collettivo richiederebbe comprendere meglio il tessuto sociale, le sue potenzialità reali e soprattutto le diversità che costituiscono la preziosa risorsa di questo territorio.

Quindi una emittente auto referenziata che parla quasi esclusivamente di se con la pretesa di rappresentare tutto il territorio è un sogno che è destinato a svanire … all’alba!

sabato 4 giugno 2011

Non c’è nessuna signora a quel tavolo di Davide Barletti e Lorenzo Conte (2010)



Cecilia Mangini, si staglia sul fondo nero di una scenografia scarna ma essenziale dove scorrono, alle sue spalle, brani dei suoi film, fotografie ed altri elementi che costituiscono il racconto della sua vita professionale: la storia di una donna che ha attraversato ilsecolo breve lasciando una traccia indelebile del “come eravamo”.

I suoi film sono connotati da un forte impegno sociale a favore degli ultimi, degli emarginati dalla società. Il suo primo film, Ignoti alla città (1958) in collaborazione con P.P.P Pasolini mostra l’umanità che pulsa in un quartiere periferico nelle borgate di Roma e uno degli ultimi: La briglia sul collo (1072) segue le vicissitudini di un bambino caratteriale che diverge dalle regole imposte da un modello educativo che ci vuole tutti perfetti e in riga per due.

Ho citato solo questi dei suoi molteplici lavori per dare un idea della suo approccio alle problematiche esistenziali della società della quale è divenuta testimone attiva.

Il film documentario del duo salentino Barletti – Conte, è un lavoro prezioso che ricostruisce le tappe fondamentali dei lavori di una delle più importanti registe italiane del dopoguerra. Le immagini molto pulite sono trattate con grafica animata che colloca il personaggio narrante nel suo ambiente di lavoro: moviole, pellicola, proiettore.

Il racconto cinematografico si sviluppa attraverso ricordi, dichiarazioni, spezzoni di film, che ripercorrono la storia dell’italietta dal dopoguerra fino ai nostri giorni. Il montaggio è serrato e non cede mai all’agiografia di repertorio, proponendo invece un linguaggio innovativo nelle forme che risultano abbastanza pertinenti col contenuto, come il ricorso ad una vecchia macchina da scrivere che scandisce, come dei capitoli, le keywords della vita professionale della Mangini.

Una moviola fa scorrere pezzi di pellicola che animano il focus dei suoi film: la Fabbrica (Brindisi ’66, 1965), la condizione femminile (Essere donne, 1965), l’interesse antropologico (Stendalì,1959, La canta delle marane, 1961), l’inchiesta sociale (L’altra faccia del pallone,1972).

La Mangini si racconta e ci racconta un Italia che a fatica riesce a riprendersi dal periodo del dopoguerra e testimonia come il cinema (a partire dal neorealismo) abbia influenzato la costruzione di una coscienza sociale nazionale pur nelle diversità territoriali. Un Sud avvilito e stravolto da un modello di sviluppo industriale che provocava da una parte lo svuotamento demografico delle nostre regioni e dall’altra una perdita della propria identità di cultura contadina che non riusciva a dialogare con le esigenze di modernità che si andavano delineando in quegli anni.

L’incontro con la regista e gli autori è stato quanto mai interessante: due generazioni a confronto hanno trovato un punto di incontro nel cinema: il non-luogo dove i pensieri prendono la forma della coscienza di un passato che vive nel presente.