mercoledì 21 marzo 2012

Carmelo Bene è morto per davvero senza lasciare eredi


Ci siamo resi conto in questi giorni, proprio nelle manifestazioni che dovevano essere in “onore” al Maestro, che Carmelo Bene si è reso impresentabile nel mondo dei “morti viventi”.
Abbandonando il suo involucro mortale ha lasciato le sue opere (libri, scritti, film ed altro) e una Fondazione che doveva gestire la sua permanenza ultra-terrena. Ma, ahimè, non ha lasciato eredi spirituali del suo pensiero e del suo modo di essere “teatro vivente” proprio perché lui era il suo teatro (come ebbe più volte a dichiarare). Abbiamo assistito a questa impossibilità di rappresentarlo con un senso di vuoto misto a disgusto che aleggiava nelle manifestazioni tutt’ora in corso.

Ad Otranto, il luogo da lui scelto per l’Immemoriale (mai realizzato), nel castello aragonese una scarna e quanto mai improbabile mostra lasciava attoniti per la pochezza dell’allestimento: qualche quadro dell’amico Gino Marotta, una sedia finemente istoriata con tavolino, una paginetta autografa… il tutto in un’atmosfera decontestualizzante che rendeva freddamente collocati alcuni oggetti appartenutigli. Una sorta di Mostra feticcio che ritualizzava affermando il suo non esserci.
Che dire della serata del 15 Marzo alla sala triangolare? Proiezioni improvvisate deformate dall’errata scelta del formato (l’originale in 16/9 proiettato in 4/3) la giovanissima figlia Salomè, in un documentario di Felice Cappa, passeggiava spensierata facendo finta di essere assorta, per i luoghi otrantini ricucendo varie letture del Padre-Maestro, dopo che le sue donne (Baracchi e Mancinelli) avevano dato bella prova di se azzuffandosi in pubblico per motivi di rappresentanza ereditaria.
Carmelo Bene non ha lasciato eredi, ma un’eredità. Essa è la nelle sue opere, tutti ne possono fruire senza intermediazioni di sorta. Chi si trova ad avere a che fare con questi materiali, decontestuaizzandoli, snaturandoli, banalizzandoli li rende “morti”. Così come è capitato al performer Luigi Presicce Domenica 18 Marzo alla Chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce. Una serie di tableau vivant collocati sugli altari resi morti dagli ‘attori’ o meglio figuranti che componevano coreografie dedicate, appunto, alla morte in scene ben costruite ma che lasciavano molto a desiderare nella parte della drammaturgia complessiva della performance (i figuranti sfilavano per la Chiesa andando a collocarsi nei luoghi deputati senza nessuna azione scenica che sostenesse e giustificasse questa occupazione dello spazio teatralizzato).

Intenzione degli organizzatori era mostrare gli abiti di scena che Carmelo aveva donato al Museo provinciale… (sic)
L’eredità di Carmelo Bene è un fatto spirituale, non materiale. La materia di cui si compone il suo pensiero non è il ricordo, ma l’esserci vissuto ed averci attraversato, infrangendo ruoli, persone e cose di questo Sud del Su dei Santi che si può percepire soltanto se si vola alto, come il Santo di Copertino, astraendosi dalle banalità rappresentative che, ahimè, hanno caratterizzato questo cosiddetto Festival in suo onore.
Ma forse è questa la maledizione del Maestro: l’esserci stato e l’essere andato in altre dimensioni senza lasciare la possibilità di essere rappresentato: non è anche questa è una maniera di morire in versi?



venerdì 9 marzo 2012

Se vince la vita!


E ora dove andiamo?  Il nuovo film di Nadine Labaki.

E ora dove andiamo? E’ la domanda che fanno gli uomini alle donne ed alla quale non c’è risposta. Si conclude così l’ultimo film della Labaki, vincitore del Toronto International Film Festival 2011.
Già apprezzata attrice e regista di Caramel (2007) selezionato a Cannes la Labaki, una donna di straordinaria bellezza, libanese di origine, è un mito nel mondo arabo e lo sta diventando rapidamente anche in occidente.
Il suo stile leggero, ironico e gentilmente provocatorio ci fa avvicinare alla complessità del mondo arabo analizzandone i processi che ne determinano gli atavici conflitti; il tutto in una maniera molto vicina agli stilemi occidentali: l’uso di intermezzi di music-hall, montaggio molto ritmato, battute ironiche ed a tratti comiche, scene di vita quotidiane che rendono l’opera gradevolmente vicina e comprensibile allo spettatore occidentale.
Il film, proiettato l’8 Marzo 2012 a Calimera presso il Cinema Elio (non ancora uscito nelle sale salentine), si apre con una scena molto forte che ricorda la ballata dei giovani in Allosanfan dei Taviani (la ricordate?) ma che qui è interpretata al femminile da un gruppo di donne in nero che avanzano compatte verso un cimitero perquotendosi il petto. Le loro movenze ed il loro sguardo deciso rende questa danza funebre una ballata del fiero dolore, scritta dal marito di Nadine, Khaled Mouzanar, che dopo Caramel rinnova la collaborazione musicale con la moglie.
Un esercito femminile unito da dolori e lutti che si prende cura dei morti sepolti rigorosamente separati: a destra i musulmani, a sinistra i cristiani. Questa contrapposizione tra le due religioni sembra essere la  causa prima dei conflitti all’interno dello stesso villaggio. La Nabaki ci fa intendere subito che qui la religione non è intesa come “credo” ma come potere politico: la moschea o la Chiesa arriva sempre prima dello Stato che risulta pressoché  assente. Lo si vede dalla figura del sindaco, un bonaccione e grassoccio signore che pensa a tutt’altro.
Quindi sono le donne a dover mettere a posto le cose. Su di loro grava la gestione della famiglia e, di conseguenza, del gruppo sociale dell’intero villaggio. Ma queste donne, nel film della regista libanese, non sono donne qualunque: sono le madri, le figlie, le sorelle… il dramma sociale diventa dramma familiare!
E sono loro che devono tessere la trama dilaniata dai conflitti pseudo religiosi. Gli uomini son presentati come degli attaccabrighe, buoni a nulla, dediti ad acciuffarsi per futili motivi per un insano orgoglio maschile.
Sono le donne che devono ordire le trame per una nuova tela capace di riunire il tessuto sociale dilaniato e lo fanno usando la loro peculiarità femminile… portatrice di vita. Anche i responsabili religiosi, alfine insieme, si convincono: “Se noi diamo retta a queste donne si apriranno molte porte in paradiso”. Così organizzano, con la collaborazione dei religiosi, una grande festa a base di …. gioia di vivere! Come in un music hall (ci ricorda certe scene di West side story, e qui si sente la precedente esperienza di Nadine come Vj) le donne del villaggio preparano un mix esplosivo a base di Bacco, Tabacco e Venere, gli ingredienti del piacere di vivere, coinvolgendo i loro uomini che si ritrovano uniti senza barriere di sorta perché è la vita a prendere il sopravvento.
Una sorta di trance collettiva in cui si sperimenta la possibilità di convivenza al di la delle contrapposizioni ideologiche. Il film termina con una processione funebre al piccolo cimitero ancora diviso tra cristiani e musulmani. Dove seppelliranno il defunto? E ora dove andiamo? La Labaki pone questo problema agli spettatori e al mondo intero a conclusione del suo lavoro che si colloca nelle problematiche attuali delle popolazioni del Medio Oriente.


sabato 14 gennaio 2012

Un tram chiamato desiderio (A Streetcar Named Desire) 1951


di Elia Kazan, da Tennessee Williams       - Remake 2012 -

Come nella commedia di Tennessee Williams, il film presenta una società dedita ai grossi affari poco curandosi della liceità degli stessi. Gli intercettori di finanziamenti intravedono la possibilità di irretire una graziosa città del Sud Italia per costruire una tela di cavi elettrici ai quali dovrà attaccarsi un enorme tram. Ce ne è per tutti: imprese, amministratori, politici e indotto. E l’affare dell’anno che darà alla piccola cittadina di provincia un volto moderno ed ecologico. Già perché l’affare è presentato dal sindaco soprattutto sotto l’aspetto di eco compatibilità non inquinante e non sotto quello funzionale, giacché nella piccola città i pullman a gasolio non li prende quasi nessuno o solo pochi affezionati, essendo facilmente percorribile a piedi. Lo si può notare dal fatto che  alle fermate non sono indicati neanche l’orario dei passaggi e i percorsi cosi che solo gli abituè ne conoscono i segreti.
La storia procede attraverso telefonate, incontri, consigli comunali, salotti bene sullo sfondo di affascinanti palazzi antichi e strade sconnesse che si riempiono di pioggia allagandosi un po’ troppo spesso facendo riflettere nelle pozzanghere i sontuosi ornamenti barocchi dell’arredo urbano. Si crea l’attesa e si alimentano i desideri per l’evento più costoso che questo Comune abbia mai intrapreso: ben 20 milioni di euro solo dalle casse comunali!
Iniziano i lavori e per 2 lunghi anni la città è viene infilzata da alti pali che prendono il posto dei fronzuti secolari alberi di pino che l’adornavano, ma si sa bisogna pur pagare qualcosa per il progresso ecologico! Intanto il costo dell’operazione TRAM DEL DESIDERIO lievitava sempre più perché si sa come vanno queste cose … quando ci sono grossi affari meglio tirarla alle lunghe altrimenti la festa finisce troppo presto. Le ditte se ne inventano di tutti i colori: la pioggia, il freddo, il maltempo, i ritrovamenti di qualche cesso settecentesco nel sottosuolo (si sa che gli uomini cagavano in tutte le epoche) e così gli affari aumentano. Si riesce a procrastinare l’evento fino a 1000 giorni e l’operazione costerà quasi il doppio! Ma nessuno può rinunciare ad un simile gioiello. I soldi verranno presi dalle multe per “scaduto grattino” negli innumerevoli parcheggi a strisce blu di cui viene cosparsa la città.
Così, finalmente, arriva il gran giorno ma… succede un altro imprevisto. Le centrali elettriche che devono erogare l’energia non funzionano più perché è passato troppo tempo ed è scaduta la garanzia … Altro rinvio. I cittadini, aizzati dall’opposizione, cominciano a dare segni di insofferenza così in fretta e furia si organizza un’altra partenza. Tutto è pronto l’assessore chiama le televisioni, indice una conferenza stampa.
Qui il film da commedia di costume diventa tragicomico perché sul più bello ci si accorge che qualcuno si è dimenticato di istruire gli autisti! I cittadini devono pazientare ancora un po’ mentre gli autisti vengono mandati a scuola guida. Così la partenza viene rinviata di alcuni mesi. Ma l’attesa, si sa, fa crescere il desiderio per cui l’assessore al traffico travestito da capostazione si fa riprendere dalle televisioni locali mentre all’interno del tram sfreccia giocondo per i viali della città … ma è solo una prova generale per vedere se gli autisti hanno frequentato con profitto le lezioni! Prova superata l’ assessore è radiante. Da domani partirà un giro di prova anche per i cittadini! L’entusiasmo della gente è alle stelle. Finalmente la loro città, dopo tanti sacrifici, si doterà di questo moderno mezzo non inquinante e si potrà respirare l’aria pura promessa.
E’ arrivato il gran giorno. I tram del desiderio parte per fare un piccolo tragitto (meglio andarci cauti no?) ma la sfortuna vuole che questo pachiderma, che occupa un’intera corsia, intralciando non poco il traffico cittadino,  improvvisamente si fermi. L’assessore non si perde d’animo e incita i cittadini a spingere finché, attaccati al tram (vedi fotogramma accluso), finalmente ripartono …
A questo punto sembrerebbe che il film volga al termine invece, come nelle migliori tradizioni, ecco il colpo di scena: la Guardia di Finanza mette il naso nei fascicoli amministrativi del Tram chiamato desiderio e scopre ciò che andava celato per la serenità della piccola cittadina. Pare che famelici consiglieri (si sa che la gente non da buoni consigli quando può dare il cattivo esempio, come recitava De Andrè) abbiano corrotto le ditte costruttrici e intascato ingenti cifre esportandole in Svizzera sui loro conti correnti. Arresti, polemiche, defezioni politiche minano nuovamente il desiderio del tram! Ognuno cerca di scaricare le responsabilità sugli altri. Sembra quasi un film di Totò.
Ma l’assessore al traffico dal cuore tenero non si da per vinto: facciamo finta di niente son cose della Magistratura, il Tram deve partire, sarà il suo regalo di Natale. Così organizza un buffet: pasticciotti e caffè per tutti e sale assieme ai giornalisti (vedi fotogramma allegato). Poi, per far vedere la sua magnanimità promette al popolo il Tram gratis per tre mesi. Applausi e grida scomposte di gaudio immenso da parte della plebe accompagnano queste inquadrature.
Così termina la pellicola, con i cittadini gaudenti a seguito del magnanimo assessore. L’ultima inquadratura ci suggerisce i finali dei film di Alberto Sordi: in campo lungo, mentre il tram si allontana all’orizzonte trasportando popolo e desideri, si sente l’invocazione gioiosa dell’assessore che viene ripetuta da una scritta finale:
SI PARTE! ATTACCATEVI TUTTI AL TRAM!


venerdì 6 gennaio 2012

Midnight in Paris

Il fascino del passato per un presente difficile da vivere e da accettare.

L’ultimo film di Woody Allen, Midnight in Paris, sbanca i botteghini incassando 2.203.671 euro in appena 3 giorni dall’uscita. E’ un record per il regista statunitense in Italia. La sequenza iniziale sembra essere un atto d’amore a Parigi: inquadrature fisse tipo cartolina illustrata mostrano le bellezze architettoniche e urbanistiche dell’intramontabile capitale francese dove la camera sembra compiacersi un po’ troppo a lungo sulle inquadrature estetizzanti, ma l’incantesimo viene subito infranto dall’arrivo dei protagonisti: una coppia di giovani americani con genitori di lei a seguito dedita quasi esclusivamente allo shopping turistico.

Ma il protagonista è Gil (Owen Wilson), giovane sceneggiatore hollywoodiano che somiglia molto all’imbranato e introspettivo Woody che ben conosciamo. Tra Gil e Ines (Rachel McAdams), futuri sposi, c’è qualcosa che non va: sognatore e introspettivo lui, pragmatica e estroversa lei. Gil vorrebbe cimentarsi nella letteratura e sta scrivendo un romanzo, mentre Ines lo scoraggia in tutti i modi preferendo la più sicura carriera di sceneggiatore di film.
Ines incontra una sua vecchia fiamma (uno di quegli intellettuali odiosi che solo Allen sa rendere così antipatici) e si lascia trasportare in visite guidate a Musei, feste da ballo, shopping. Così la vacanza parigina separa di fatto i due promessi sposi che vivono giornate parallele. Infatti Gil, in cerca d’ispirazione, non ama queste banalità turistiche preferendo passare il suo tempo a gironzolare nei vicoli parigini e a curiosare nei mercatini dell’antiquariato.

Una sera, ritornando da solo all’albergo dopo aver bevuto qualche bicchiere di più, allo scoccare della mezzanotte, Gil si trova coinvolto in una comitiva chiassosa quanto gioiosa che lo carica a bordo di una vecchia Peugeot.
Con suo grande stupore si rende conto di trovarsi al cospetto di grandi Scrittori e artisti degli anni ruggenti: Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald in compagnia di Zelda, Gertrude Stein, Salvador Dalí e una serie incredibile di altri personaggi, quali Pablo Picasso, Henri Matisse, Thomas Stearns Eliot, Luis Buñuel, Man Ray.

Qui inizia la parte più interessante del film che vede Gil interagire da uomo del terzo millennio con i quegli uomini che hanno segnato un solco profondo nella cultura del secolo breve. C’è da chiedersi: come mai Woody Allen scegli proprio questo periodo? Cosa hanno rappresentato gli anni venti? Quale energia creativa si sprigionò il quel periodo che nella storia dell’arte viene etichettato come Futurismo e surrealismo? Gli anni ruggenti gettarono il seme per la costruzione di nuova società che usciva dal primo conflitto mondiale: c’era da ricostruire tutto, un’occasione per guardare avanti con uno sguardo positivo e sperimentare in ogni campo. Sia nella politica che nella cultura e nella scienza fiorirono ebbero impulsi eccezionali: la repubblica di Weimar, Bertold Brecth che gettò le basi del teatro moderno. Nel Cinema S.M. Ejzenstejn, Dziga Vertov, Bunuel, nella pittura Pablo Picasso, Salvator Dalì. Albert Einstein scopre l’energia atomica, Nikola Tesla inizia le ricerche sulla corrente alternata e l’energia dei campi magnetici promettendo un’energia pulita per tutti a basso costo. Ma furono anche anni in cui questa grande euforia si trasformò in un ubriacatura: tutto sembrava possibile. Il sogno colonialista italiano, la corsa al consumismo, l’indebitamento economico che ebbe il suo culmine nel 1929 col crollo del sistema finanziario di Wall street.
Gli anni che seguirono furono i più dolorosi del secolo passato, stalinismo, nazismo, fascismo, la seconda guerra mondiale.

Il film di Allen sembra alludere a tutto questo ma con una sottile ironia di fondo che indica anche una strada praticabile: il fascino del passato non è spendibile nel presente se non come ricordo cosciente. Così il protagonista sceglie il presente, quella semplicità dalla quale si era staccato rischiando di perdersi. Una semplicità fatta di riconoscimento delle cose importanti, essenziali. Un ritorno ai valori forti dove una passeggiata sotto la pioggia è come sentirsi una parte dell’universo senza bisogno di aprire ombrelli…