mercoledì 21 marzo 2012

Carmelo Bene è morto per davvero senza lasciare eredi


Ci siamo resi conto in questi giorni, proprio nelle manifestazioni che dovevano essere in “onore” al Maestro, che Carmelo Bene si è reso impresentabile nel mondo dei “morti viventi”.
Abbandonando il suo involucro mortale ha lasciato le sue opere (libri, scritti, film ed altro) e una Fondazione che doveva gestire la sua permanenza ultra-terrena. Ma, ahimè, non ha lasciato eredi spirituali del suo pensiero e del suo modo di essere “teatro vivente” proprio perché lui era il suo teatro (come ebbe più volte a dichiarare). Abbiamo assistito a questa impossibilità di rappresentarlo con un senso di vuoto misto a disgusto che aleggiava nelle manifestazioni tutt’ora in corso.

Ad Otranto, il luogo da lui scelto per l’Immemoriale (mai realizzato), nel castello aragonese una scarna e quanto mai improbabile mostra lasciava attoniti per la pochezza dell’allestimento: qualche quadro dell’amico Gino Marotta, una sedia finemente istoriata con tavolino, una paginetta autografa… il tutto in un’atmosfera decontestualizzante che rendeva freddamente collocati alcuni oggetti appartenutigli. Una sorta di Mostra feticcio che ritualizzava affermando il suo non esserci.
Che dire della serata del 15 Marzo alla sala triangolare? Proiezioni improvvisate deformate dall’errata scelta del formato (l’originale in 16/9 proiettato in 4/3) la giovanissima figlia Salomè, in un documentario di Felice Cappa, passeggiava spensierata facendo finta di essere assorta, per i luoghi otrantini ricucendo varie letture del Padre-Maestro, dopo che le sue donne (Baracchi e Mancinelli) avevano dato bella prova di se azzuffandosi in pubblico per motivi di rappresentanza ereditaria.
Carmelo Bene non ha lasciato eredi, ma un’eredità. Essa è la nelle sue opere, tutti ne possono fruire senza intermediazioni di sorta. Chi si trova ad avere a che fare con questi materiali, decontestuaizzandoli, snaturandoli, banalizzandoli li rende “morti”. Così come è capitato al performer Luigi Presicce Domenica 18 Marzo alla Chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce. Una serie di tableau vivant collocati sugli altari resi morti dagli ‘attori’ o meglio figuranti che componevano coreografie dedicate, appunto, alla morte in scene ben costruite ma che lasciavano molto a desiderare nella parte della drammaturgia complessiva della performance (i figuranti sfilavano per la Chiesa andando a collocarsi nei luoghi deputati senza nessuna azione scenica che sostenesse e giustificasse questa occupazione dello spazio teatralizzato).

Intenzione degli organizzatori era mostrare gli abiti di scena che Carmelo aveva donato al Museo provinciale… (sic)
L’eredità di Carmelo Bene è un fatto spirituale, non materiale. La materia di cui si compone il suo pensiero non è il ricordo, ma l’esserci vissuto ed averci attraversato, infrangendo ruoli, persone e cose di questo Sud del Su dei Santi che si può percepire soltanto se si vola alto, come il Santo di Copertino, astraendosi dalle banalità rappresentative che, ahimè, hanno caratterizzato questo cosiddetto Festival in suo onore.
Ma forse è questa la maledizione del Maestro: l’esserci stato e l’essere andato in altre dimensioni senza lasciare la possibilità di essere rappresentato: non è anche questa è una maniera di morire in versi?



venerdì 9 marzo 2012

Se vince la vita!


E ora dove andiamo?  Il nuovo film di Nadine Labaki.

E ora dove andiamo? E’ la domanda che fanno gli uomini alle donne ed alla quale non c’è risposta. Si conclude così l’ultimo film della Labaki, vincitore del Toronto International Film Festival 2011.
Già apprezzata attrice e regista di Caramel (2007) selezionato a Cannes la Labaki, una donna di straordinaria bellezza, libanese di origine, è un mito nel mondo arabo e lo sta diventando rapidamente anche in occidente.
Il suo stile leggero, ironico e gentilmente provocatorio ci fa avvicinare alla complessità del mondo arabo analizzandone i processi che ne determinano gli atavici conflitti; il tutto in una maniera molto vicina agli stilemi occidentali: l’uso di intermezzi di music-hall, montaggio molto ritmato, battute ironiche ed a tratti comiche, scene di vita quotidiane che rendono l’opera gradevolmente vicina e comprensibile allo spettatore occidentale.
Il film, proiettato l’8 Marzo 2012 a Calimera presso il Cinema Elio (non ancora uscito nelle sale salentine), si apre con una scena molto forte che ricorda la ballata dei giovani in Allosanfan dei Taviani (la ricordate?) ma che qui è interpretata al femminile da un gruppo di donne in nero che avanzano compatte verso un cimitero perquotendosi il petto. Le loro movenze ed il loro sguardo deciso rende questa danza funebre una ballata del fiero dolore, scritta dal marito di Nadine, Khaled Mouzanar, che dopo Caramel rinnova la collaborazione musicale con la moglie.
Un esercito femminile unito da dolori e lutti che si prende cura dei morti sepolti rigorosamente separati: a destra i musulmani, a sinistra i cristiani. Questa contrapposizione tra le due religioni sembra essere la  causa prima dei conflitti all’interno dello stesso villaggio. La Nabaki ci fa intendere subito che qui la religione non è intesa come “credo” ma come potere politico: la moschea o la Chiesa arriva sempre prima dello Stato che risulta pressoché  assente. Lo si vede dalla figura del sindaco, un bonaccione e grassoccio signore che pensa a tutt’altro.
Quindi sono le donne a dover mettere a posto le cose. Su di loro grava la gestione della famiglia e, di conseguenza, del gruppo sociale dell’intero villaggio. Ma queste donne, nel film della regista libanese, non sono donne qualunque: sono le madri, le figlie, le sorelle… il dramma sociale diventa dramma familiare!
E sono loro che devono tessere la trama dilaniata dai conflitti pseudo religiosi. Gli uomini son presentati come degli attaccabrighe, buoni a nulla, dediti ad acciuffarsi per futili motivi per un insano orgoglio maschile.
Sono le donne che devono ordire le trame per una nuova tela capace di riunire il tessuto sociale dilaniato e lo fanno usando la loro peculiarità femminile… portatrice di vita. Anche i responsabili religiosi, alfine insieme, si convincono: “Se noi diamo retta a queste donne si apriranno molte porte in paradiso”. Così organizzano, con la collaborazione dei religiosi, una grande festa a base di …. gioia di vivere! Come in un music hall (ci ricorda certe scene di West side story, e qui si sente la precedente esperienza di Nadine come Vj) le donne del villaggio preparano un mix esplosivo a base di Bacco, Tabacco e Venere, gli ingredienti del piacere di vivere, coinvolgendo i loro uomini che si ritrovano uniti senza barriere di sorta perché è la vita a prendere il sopravvento.
Una sorta di trance collettiva in cui si sperimenta la possibilità di convivenza al di la delle contrapposizioni ideologiche. Il film termina con una processione funebre al piccolo cimitero ancora diviso tra cristiani e musulmani. Dove seppelliranno il defunto? E ora dove andiamo? La Labaki pone questo problema agli spettatori e al mondo intero a conclusione del suo lavoro che si colloca nelle problematiche attuali delle popolazioni del Medio Oriente.


sabato 14 gennaio 2012

Un tram chiamato desiderio (A Streetcar Named Desire) 1951


di Elia Kazan, da Tennessee Williams       - Remake 2012 -

Come nella commedia di Tennessee Williams, il film presenta una società dedita ai grossi affari poco curandosi della liceità degli stessi. Gli intercettori di finanziamenti intravedono la possibilità di irretire una graziosa città del Sud Italia per costruire una tela di cavi elettrici ai quali dovrà attaccarsi un enorme tram. Ce ne è per tutti: imprese, amministratori, politici e indotto. E l’affare dell’anno che darà alla piccola cittadina di provincia un volto moderno ed ecologico. Già perché l’affare è presentato dal sindaco soprattutto sotto l’aspetto di eco compatibilità non inquinante e non sotto quello funzionale, giacché nella piccola città i pullman a gasolio non li prende quasi nessuno o solo pochi affezionati, essendo facilmente percorribile a piedi. Lo si può notare dal fatto che  alle fermate non sono indicati neanche l’orario dei passaggi e i percorsi cosi che solo gli abituè ne conoscono i segreti.
La storia procede attraverso telefonate, incontri, consigli comunali, salotti bene sullo sfondo di affascinanti palazzi antichi e strade sconnesse che si riempiono di pioggia allagandosi un po’ troppo spesso facendo riflettere nelle pozzanghere i sontuosi ornamenti barocchi dell’arredo urbano. Si crea l’attesa e si alimentano i desideri per l’evento più costoso che questo Comune abbia mai intrapreso: ben 20 milioni di euro solo dalle casse comunali!
Iniziano i lavori e per 2 lunghi anni la città è viene infilzata da alti pali che prendono il posto dei fronzuti secolari alberi di pino che l’adornavano, ma si sa bisogna pur pagare qualcosa per il progresso ecologico! Intanto il costo dell’operazione TRAM DEL DESIDERIO lievitava sempre più perché si sa come vanno queste cose … quando ci sono grossi affari meglio tirarla alle lunghe altrimenti la festa finisce troppo presto. Le ditte se ne inventano di tutti i colori: la pioggia, il freddo, il maltempo, i ritrovamenti di qualche cesso settecentesco nel sottosuolo (si sa che gli uomini cagavano in tutte le epoche) e così gli affari aumentano. Si riesce a procrastinare l’evento fino a 1000 giorni e l’operazione costerà quasi il doppio! Ma nessuno può rinunciare ad un simile gioiello. I soldi verranno presi dalle multe per “scaduto grattino” negli innumerevoli parcheggi a strisce blu di cui viene cosparsa la città.
Così, finalmente, arriva il gran giorno ma… succede un altro imprevisto. Le centrali elettriche che devono erogare l’energia non funzionano più perché è passato troppo tempo ed è scaduta la garanzia … Altro rinvio. I cittadini, aizzati dall’opposizione, cominciano a dare segni di insofferenza così in fretta e furia si organizza un’altra partenza. Tutto è pronto l’assessore chiama le televisioni, indice una conferenza stampa.
Qui il film da commedia di costume diventa tragicomico perché sul più bello ci si accorge che qualcuno si è dimenticato di istruire gli autisti! I cittadini devono pazientare ancora un po’ mentre gli autisti vengono mandati a scuola guida. Così la partenza viene rinviata di alcuni mesi. Ma l’attesa, si sa, fa crescere il desiderio per cui l’assessore al traffico travestito da capostazione si fa riprendere dalle televisioni locali mentre all’interno del tram sfreccia giocondo per i viali della città … ma è solo una prova generale per vedere se gli autisti hanno frequentato con profitto le lezioni! Prova superata l’ assessore è radiante. Da domani partirà un giro di prova anche per i cittadini! L’entusiasmo della gente è alle stelle. Finalmente la loro città, dopo tanti sacrifici, si doterà di questo moderno mezzo non inquinante e si potrà respirare l’aria pura promessa.
E’ arrivato il gran giorno. I tram del desiderio parte per fare un piccolo tragitto (meglio andarci cauti no?) ma la sfortuna vuole che questo pachiderma, che occupa un’intera corsia, intralciando non poco il traffico cittadino,  improvvisamente si fermi. L’assessore non si perde d’animo e incita i cittadini a spingere finché, attaccati al tram (vedi fotogramma accluso), finalmente ripartono …
A questo punto sembrerebbe che il film volga al termine invece, come nelle migliori tradizioni, ecco il colpo di scena: la Guardia di Finanza mette il naso nei fascicoli amministrativi del Tram chiamato desiderio e scopre ciò che andava celato per la serenità della piccola cittadina. Pare che famelici consiglieri (si sa che la gente non da buoni consigli quando può dare il cattivo esempio, come recitava De Andrè) abbiano corrotto le ditte costruttrici e intascato ingenti cifre esportandole in Svizzera sui loro conti correnti. Arresti, polemiche, defezioni politiche minano nuovamente il desiderio del tram! Ognuno cerca di scaricare le responsabilità sugli altri. Sembra quasi un film di Totò.
Ma l’assessore al traffico dal cuore tenero non si da per vinto: facciamo finta di niente son cose della Magistratura, il Tram deve partire, sarà il suo regalo di Natale. Così organizza un buffet: pasticciotti e caffè per tutti e sale assieme ai giornalisti (vedi fotogramma allegato). Poi, per far vedere la sua magnanimità promette al popolo il Tram gratis per tre mesi. Applausi e grida scomposte di gaudio immenso da parte della plebe accompagnano queste inquadrature.
Così termina la pellicola, con i cittadini gaudenti a seguito del magnanimo assessore. L’ultima inquadratura ci suggerisce i finali dei film di Alberto Sordi: in campo lungo, mentre il tram si allontana all’orizzonte trasportando popolo e desideri, si sente l’invocazione gioiosa dell’assessore che viene ripetuta da una scritta finale:
SI PARTE! ATTACCATEVI TUTTI AL TRAM!


venerdì 6 gennaio 2012

Midnight in Paris

Il fascino del passato per un presente difficile da vivere e da accettare.

L’ultimo film di Woody Allen, Midnight in Paris, sbanca i botteghini incassando 2.203.671 euro in appena 3 giorni dall’uscita. E’ un record per il regista statunitense in Italia. La sequenza iniziale sembra essere un atto d’amore a Parigi: inquadrature fisse tipo cartolina illustrata mostrano le bellezze architettoniche e urbanistiche dell’intramontabile capitale francese dove la camera sembra compiacersi un po’ troppo a lungo sulle inquadrature estetizzanti, ma l’incantesimo viene subito infranto dall’arrivo dei protagonisti: una coppia di giovani americani con genitori di lei a seguito dedita quasi esclusivamente allo shopping turistico.

Ma il protagonista è Gil (Owen Wilson), giovane sceneggiatore hollywoodiano che somiglia molto all’imbranato e introspettivo Woody che ben conosciamo. Tra Gil e Ines (Rachel McAdams), futuri sposi, c’è qualcosa che non va: sognatore e introspettivo lui, pragmatica e estroversa lei. Gil vorrebbe cimentarsi nella letteratura e sta scrivendo un romanzo, mentre Ines lo scoraggia in tutti i modi preferendo la più sicura carriera di sceneggiatore di film.
Ines incontra una sua vecchia fiamma (uno di quegli intellettuali odiosi che solo Allen sa rendere così antipatici) e si lascia trasportare in visite guidate a Musei, feste da ballo, shopping. Così la vacanza parigina separa di fatto i due promessi sposi che vivono giornate parallele. Infatti Gil, in cerca d’ispirazione, non ama queste banalità turistiche preferendo passare il suo tempo a gironzolare nei vicoli parigini e a curiosare nei mercatini dell’antiquariato.

Una sera, ritornando da solo all’albergo dopo aver bevuto qualche bicchiere di più, allo scoccare della mezzanotte, Gil si trova coinvolto in una comitiva chiassosa quanto gioiosa che lo carica a bordo di una vecchia Peugeot.
Con suo grande stupore si rende conto di trovarsi al cospetto di grandi Scrittori e artisti degli anni ruggenti: Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald in compagnia di Zelda, Gertrude Stein, Salvador Dalí e una serie incredibile di altri personaggi, quali Pablo Picasso, Henri Matisse, Thomas Stearns Eliot, Luis Buñuel, Man Ray.

Qui inizia la parte più interessante del film che vede Gil interagire da uomo del terzo millennio con i quegli uomini che hanno segnato un solco profondo nella cultura del secolo breve. C’è da chiedersi: come mai Woody Allen scegli proprio questo periodo? Cosa hanno rappresentato gli anni venti? Quale energia creativa si sprigionò il quel periodo che nella storia dell’arte viene etichettato come Futurismo e surrealismo? Gli anni ruggenti gettarono il seme per la costruzione di nuova società che usciva dal primo conflitto mondiale: c’era da ricostruire tutto, un’occasione per guardare avanti con uno sguardo positivo e sperimentare in ogni campo. Sia nella politica che nella cultura e nella scienza fiorirono ebbero impulsi eccezionali: la repubblica di Weimar, Bertold Brecth che gettò le basi del teatro moderno. Nel Cinema S.M. Ejzenstejn, Dziga Vertov, Bunuel, nella pittura Pablo Picasso, Salvator Dalì. Albert Einstein scopre l’energia atomica, Nikola Tesla inizia le ricerche sulla corrente alternata e l’energia dei campi magnetici promettendo un’energia pulita per tutti a basso costo. Ma furono anche anni in cui questa grande euforia si trasformò in un ubriacatura: tutto sembrava possibile. Il sogno colonialista italiano, la corsa al consumismo, l’indebitamento economico che ebbe il suo culmine nel 1929 col crollo del sistema finanziario di Wall street.
Gli anni che seguirono furono i più dolorosi del secolo passato, stalinismo, nazismo, fascismo, la seconda guerra mondiale.

Il film di Allen sembra alludere a tutto questo ma con una sottile ironia di fondo che indica anche una strada praticabile: il fascino del passato non è spendibile nel presente se non come ricordo cosciente. Così il protagonista sceglie il presente, quella semplicità dalla quale si era staccato rischiando di perdersi. Una semplicità fatta di riconoscimento delle cose importanti, essenziali. Un ritorno ai valori forti dove una passeggiata sotto la pioggia è come sentirsi una parte dell’universo senza bisogno di aprire ombrelli…

venerdì 4 novembre 2011

Servizio pubblico di Michele Santoro: alla conquista di nuovi spazi nella comunicazione

Dallo studio 3 di Cinecittà è iniziata la nuova avventura di Michele Santoro che sbarca in versione multipiattaforma col suo nuovo programma. La prima puntata (delle 26 in programma) ha visto i suoi fedelissimi compagni di sempre tenere banco per più di tre ore dribblando tra i mezzi di comunicazione disponibili al progetto.

Questi i numeri:
L'8,6 per cento di share con 2 milioni 383 mila telespettatori sulle tv locali. Su Sky Tg24 i telespettatori interessati sono stati 600 mila, con il 2,65 per cento di share. Quindi l'audience tv totale dell'esordio di Santoro si attesta sui 3 milioni di telespettatori, con uno share di circa il 13 per cento.
Non male se si pensa che le tre reti RAI hanno avuto complessivamente il 39% e le reti Mediaset il 34%.
Il programma ricalca la consueta struttura molto simile ad Anno Zero anche se per ora manca un contraddittorio tra le forze politiche che sarebbe stato di un efficacia comunicativa maggiore... ma siamo solo all'inizio. Quello che c'è di nuovo, invece, è il tentativo (pienamente riuscito) di cercare nuovi spazi di sinergia tra i mezzi di comunicazione dimostrando che il popolo della rete, con in testa Facebook, costituisce una nuova frontiera praticabile: le prime stime parlano di 400.000 utenti sui siti di Corriere della Sera, di Repubblica e altri 400.000 sui siti del Fatto Quotidiano e dell'associazione Servizio Pubblico, in totale 800.000!

 L'idea di un network, anche se temporaneo, di televisioni private potrebbe dare la stura a nuovi modi di produzione e di distribuzione dei prodotti televisivi che, fino a questo momento, erano appannaggio delle "major" RAI e Mediaset. La parola d'ordine è: Senza editori e senza padroni! Ci sono 100.000 persone coinvolte nell'affare, più di 20 emittenti locali che coprono tutto il territorio nazionale, Sky e lo streaming video in internet. Il sito ufficiale: www.serviziopubblico.it è costruito in modo da poter intervenire, fare proposte, inviare filmati, rispondere a domande, lavorare con lo staff. Oltre a poter visionare alcuni dei momenti del programma stesso.

 È un evento importante nel mondo della comunicazione che, in un momento come questo, cerca nuovi spazi per una partecipazione di un pubblico che ha perduto la sua possibilità di scelta in un panorama sempre più omologante. È anche una sconfitta per quel servizio pubblico (RAI) pagato con i nostri soldi che ritorna saldamente nelle mani dei politici imbarbarendone i palinsesti. Pensate che in contemporanea, nello spazio che era di Anno zero, la seconda rete trasmetteva un film di vent'anni fa (1990): Indiana Jones e l'ultima crociata!

Strana coincidenza: proprio mentre Santoro iniziava la Prima Crociata contro un servizio pubblico che ormai sembra delegittimato a rappresentare le aspettative degli italiani!

martedì 4 ottobre 2011

Terra Ferma di Emanuele Crialese



Quando la legge degli uomini contrasta con la morale comune.  di Giuliano Capani

Ancora un bel film del regista di origine siciliana ma americano di formazione artistica. Un tributo alla sua terra, come gli altri precedenti: Respiro, Nuovomondo. Ma qui la Sicilia diventa una cartina di tornasole per un antica questione: è il problema della legittimità della legge positiva, già affrontato da Sofocle nell’Antigone. Cosa succede quando la legge degli uomini contrasta con la morale comune? E’ legittimo non obbedire alle norme seguendo quella legge non scritta che deriva da imperativi di natura superiore come quelli della solidarietà umana?
Il film, avvalendosi di un cast di attori, guarda caso tutti siciliani, (Mimmo Cuticchio, Beppe Fiorello, Filippo Pucillo, Donatella Finocchiaro) affronta il tema dell’emigrazione clandestina connotandola territorialmente (anche se non facendone espressa menzione) in quel di Lampedusa che ha dovuto affrontare in questi ultimi tempi questo fenomeno con risultati non proprio dignitosi. Ricordiamoci quel che è successo ai deportati di Manduria...

In questo piccolo lembo di terra proteso verso l’Africa una comunità vive di pesca e turismo, saldo nelle sue tradizioni che si esprimono in fatti e comportamenti semplici: quelli dei valori forti che rimangono stabili nel tempo, quelli che provengono dall’essere e sentirsi uomini nell’universo, quelli che in una parola son chiamati nel film: La legge del mare!
Crialese, con sapiente drammaturgia e inquadrature sempre suggestive, ci racconta una sorta apologo: la storia del film si rifà, come dicevamo, al mito tragico di Antigone che viola la legge degli uomini ( il re Creonte) e da sepoltura a Polinice obbedendo alla legge “divina”:

 «Ma per me non fu Zeus a proclamare quell'editto, né la Giustizia che dimora tra gli dèi. [...] Io seguo le leggi sacre e incrollabili degli dèi, leggi non scritte, di quelle io un giorno dovrò subire il giudizio. [...] E non credevo che i tuoi bandi fossero così potenti da sovrastare e sovvertire le leggi morali degli dèi!».

 Alla stessa maniera la solidarietà umana, quasi un istinto primordiale, fa si che il pescatore salvi alcuni profughi etiopici e tra questi una donna incinta, presti loro le prime cure e trattenga la donna a casa della nuora aiutandola a partorire. Ma le leggi degli uomini prevedono che dovesse venire consegnata alla polizia. Di qui inizia il dramma del pescatore e di un intera comunità che si riunisce protestando per l’operato delle forze dell’ordine che sequestrano la barca (unico mezzo di sussistenza della gente di mare) e non è attrezzata, né disponibile a dare soccorso con dignità umana a queste persone che provengono da vicissitudini drammatiche e che vogliono raggiungere soltanto … La TERRA FERMA!

L’attualità del film è evidente e ci pone quesiti e problemi tuttora aperti su come si sia organizzata l’accoglienza (sic!) di questi flussi emigratori: persone che sono sorrette solo dalla speranza di ricongiungersi con i loro parenti o di conquistare una vita migliore… aspirazioni queste, a cui non abbiamo saputo dare una risposta dignitosa.

Il film, di produzione italiana (Cattleya, France2 Cinema, in collaborazione con RAI Cinema e Canal plus) è candidato italiano agli Oscar. Il che ci fa un immenso piacere perché rappresenta degnamente un fenomeno centrale nella nostra comunità europea e riguarda da molto vicino le popolazioni frontaliere (è di pochi giorni fa uno sbarco a Novaglie, LE) che ogni giorno si trovano nelle situazioni descritte sapientemente dal film.

lunedì 27 giugno 2011

Cinema e TV, la realtà e il suo doppio: Ma i sogni svaniscono all'alba?

Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sull'impressione di realtà del cinema, dalle origini della settima arte alle moderne neuroscienze. La maggior parte dei pensatori sono concordi nel ritenere che questo fenomeno è dovuto principalmente al suo linguaggio molto simile alla realtà quindi il nostro cervello è abituato a riconoscere come reale ciò che vede e sente.

Questa caratteristica del Cinema, ma anche della televisione, ha fatto si che questi mezzi si siano sviluppati in diverse direzioni ma principalmente sono due le forme che lo hanno contraddistinto fino ad oggi: Fiction e Reality.

Tutti sappiamo distinguere un film da un documentario o la pubblicità da un telegiornale, ma non tutti sappiamo che l'enunciatore del messaggio audiovisivo ha il potere di mischiare le carte e, quindi, far passare per reale ciò che è invece finto! Non mi dilungo a citare i casi assai noti come lo sceneggiato radiofonico La guerra dei mondi (1938) di Orson Welles, dove gli spettatori credettero che la terra fosse stata veramente invasa dagli alieni, o la polemica sorta riguardo allo sbarco sulla luna dove alcuni ritennero essere falsi i filmati degli astronauti sostenendo che fossero stati girati in studio...

La specificità con cui si costruisce il documento audiovisivo (che sia cinema o televisione) ha in se il DNA del falso.

Proprio per queste sue “naturali” proprietà cinema e televisione sono state da sempre oggetto dell’interesse dei politici che cercano di controllarne gli enunciati (programmi e conduttori). E’ proprio di questi giorni la bagarre per neutralizzare i conduttori scomodi al potere governativo.

In Italia, però, si è creata una situazione singolare in quanto un imprenditore televisivo ha fatto la scalata del potere politico avvalendosi dell’uso massiccio delle sue emittenti e ci è riuscito! Stessa cosa sta tentando un imprenditore televisivo locale salentino. Il disegno è molto evidente: si enfatizzano i campanilismi (siamo i migliori), si fortifica l’idea del noi (siamo forti e invincibili), ci si arrocca in una sorta di autarchismo che sa un po’ di ritorno all’economia medievale (non abbiamo bisogno di nessuno noi, siamo autosufficienti, comprate la merce della nostra terra) somministrando così la suggestione di una facile risoluzione dei problemi economico e sociali.

In questi giorni, infatti, sull’emittente locale che si fa promotrice della costituenda Regione Salento, vengono trasmessi vari spot pubblicitari che spingono questa idea separatista in maniera spudoratamente semplicistica.

Non so fino a quanto si è coscienti che è estremamente pericoloso trattare il tessuto sociale come un prodotto commerciale. La pur breve storia dei mass media ce lo ha dimostrato. Ricordate il Duce che nei cinegiornali (la TV di quegli anni) inaugurava aeroporti con gli stessi aerei che si spostavano e sembravano moltiplicarsi virtualmente? L’idea mediatica che si formò era appunto quella di una nazione forte, molto forte, capace di vincere ovunque e comunque… la sovraesposizione dell’immagine del condottiero costituiva l’idea forte che rimandava ad aspettative altrettanto che non potevano essere soddisfatte soprattutto perché era una finction, non la realtà. Proprio coma la pubblicità!

L’uso della televisione a fini di acquisizione del consenso sociale richiede una sorta di identificazione tra l’emittente e gli spettatori, cioè i cittadini devono sentire che la televisione rappresenti le loro aspirazioni, i loro desiderata. E’ per questo che l’emittente locale di cui parliamo scende in campo mettendo in primo piano 10 battaglie sulle quali nessuno può essere contrario: Ambiente, sviluppo economico, buona sanità … etc.
L’editore Pagliaro dichiara nel suo sito web: «noi puntiamo su autoproduzioni di qualità, creando una "family tv" capace di regalare momenti di interesse per tutti i componenti della famiglia, ma che soprattutto si inserisce in una scelta strategica che rifiuta l'omologazione».

La family TV consiste nell’avocare a se il diritto di rappresentare la popolazione e di compiere scelte in suo nome. In realtà gli invitati alle trasmissioni nelle varie rubriche rappresentano i ceti dirigenti della società, politici, capitani di aziende etc, quelli che dovrebbero “portare i voti” e spostare l’elettorato. Nel commerciale vengono chiamati i responsabili degli acquisti! Ma oggi, per fortuna, non siamo più negli anni ’50. Il monopolio mediatico non è più granitico come in passato. Rappresentare un sogno collettivo richiederebbe comprendere meglio il tessuto sociale, le sue potenzialità reali e soprattutto le diversità che costituiscono la preziosa risorsa di questo territorio.

Quindi una emittente auto referenziata che parla quasi esclusivamente di se con la pretesa di rappresentare tutto il territorio è un sogno che è destinato a svanire … all’alba!