venerdì 27 maggio 2011

Il primo incarico di Giorgia Cecere

Gira, nei circuiti d'essai Il primo incarico, che è anche il primo lungometraggio di Giorgia Cecere... speriamo nel secondo.

La Cecere, come si legge nel suo curriculum, è pugliese d'origine, ha studiato regia al CSC con Gianni Amelio ed ha collaborato a Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi. Da quest'ultimo ha appreso più che altro la lentezza narrativa che contraddistingue, ahimè, il suo primo lavoro.
È una storia da feuilleton, molto simile a quei romanzi d'appendice che hanno dato poi origine alle telenovelas: un amore contrastato (non si capisce bene il perché) tra una ragazza del popolo ed un ragazzo colto e raffinato della ricca borghesia. Non ci è dato capire meglio la qualità del loro rapporto, né il suo conflitto con la madre perché le scene si susseguono con brevi dialoghi, a volte scontati, frutto dei più banali luoghi comuni.

La nostra ragazzotta, interpretata con molta diligenza, ma anche troppo mutismo pensieroso, da Isabella Ragonese, ha il primo incarico di maestra di scuola elementare e deve trasferirsi in altra provincia. Qui trova un ambiente rurale, una comunità contadina (si evince dalle scene che la location è quella di Cisternino). La camera indugia, forse un po' troppo (o forse per accontentare i sostenitori che hanno contribuito alla produzione, Apulia filmcommission e Comune di Cisternino) tra i trulli e casolari immersi tra gli olivi mostrando un meridione ancorato a tradizioni amoralmente familistiche, per dirla col Banfield. Non vi è nessuna descrizione del contesto sociale nè della vita contadina, ma solo oleografia ben fotografata.
La neo maestra cerca di fare del suo meglio con la classe di bambini molto 'vivaci' ma intreccia nessun rapporto con la comunità ospitante perché vive come in un limbo, aspettando le lettere del suo moroso... e queste arrivano puntualmente finché un bel giorno il giovine rampollo decide di restar libero per andare avanti con le sue esperienze...

Così la maestrina cade subito nelle braccia del muratore che le ha riparato il tetto... una scena di sesso appena accennata, per non dire proprio mal girata. Da qui le nozze riparatrici e la vita senza amore di un matrimonio fatto per colmare il vuoto che sente dentro.
Ebbene tutto il racconto è privo di una trama che faccia venir fuori la psicologia dei personaggi: le loro ansie, i loro desideri. Le soluzioni narrative e registiche ci sembrano troppo banali per farci affezionare alla storia. La comunità rurale in cui si trova a vivere non è credibile, così che risulta difficile capire i motivi del suo disagio, ma anche quelle del suo ritorno nel finale. Solo i bambini-alunni hanno una carica espressiva che consente al film di respirare un po', ma il resto è tutta un'apnea poco comunicativa. Anche il finale risulta di una banalità esasperante giacché non è stato preparato a dovere. Nessuna molla è stata predisposta per poter poi scattare al momento giusto.
Il ritorno al suo paese di origine, dove si reca per incontrare il suo primo amore tornato dai suoi viaggi istruttivi e di piacere, avviene in un clima di quasi mutismo. Un amore ritrovato? Ormai impossibile? Cosa fa scattare in lei la decisione di tornare dal suo marito muratore nella comunità contadina? Il dovere di donna? L'incapacità di amare? Di prender decisioni? Interrogativi, questi che rimangono aperti ma, qualunque sia la risposta, certamente è mal posta oltre che a non risolvere il contesto narrativo.

È un peccato che questo primo incarico della Cecere sia un'occasione mancata... speriamo nel secondo...