venerdì 9 marzo 2012

Se vince la vita!


E ora dove andiamo?  Il nuovo film di Nadine Labaki.

E ora dove andiamo? E’ la domanda che fanno gli uomini alle donne ed alla quale non c’è risposta. Si conclude così l’ultimo film della Labaki, vincitore del Toronto International Film Festival 2011.
Già apprezzata attrice e regista di Caramel (2007) selezionato a Cannes la Labaki, una donna di straordinaria bellezza, libanese di origine, è un mito nel mondo arabo e lo sta diventando rapidamente anche in occidente.
Il suo stile leggero, ironico e gentilmente provocatorio ci fa avvicinare alla complessità del mondo arabo analizzandone i processi che ne determinano gli atavici conflitti; il tutto in una maniera molto vicina agli stilemi occidentali: l’uso di intermezzi di music-hall, montaggio molto ritmato, battute ironiche ed a tratti comiche, scene di vita quotidiane che rendono l’opera gradevolmente vicina e comprensibile allo spettatore occidentale.
Il film, proiettato l’8 Marzo 2012 a Calimera presso il Cinema Elio (non ancora uscito nelle sale salentine), si apre con una scena molto forte che ricorda la ballata dei giovani in Allosanfan dei Taviani (la ricordate?) ma che qui è interpretata al femminile da un gruppo di donne in nero che avanzano compatte verso un cimitero perquotendosi il petto. Le loro movenze ed il loro sguardo deciso rende questa danza funebre una ballata del fiero dolore, scritta dal marito di Nadine, Khaled Mouzanar, che dopo Caramel rinnova la collaborazione musicale con la moglie.
Un esercito femminile unito da dolori e lutti che si prende cura dei morti sepolti rigorosamente separati: a destra i musulmani, a sinistra i cristiani. Questa contrapposizione tra le due religioni sembra essere la  causa prima dei conflitti all’interno dello stesso villaggio. La Nabaki ci fa intendere subito che qui la religione non è intesa come “credo” ma come potere politico: la moschea o la Chiesa arriva sempre prima dello Stato che risulta pressoché  assente. Lo si vede dalla figura del sindaco, un bonaccione e grassoccio signore che pensa a tutt’altro.
Quindi sono le donne a dover mettere a posto le cose. Su di loro grava la gestione della famiglia e, di conseguenza, del gruppo sociale dell’intero villaggio. Ma queste donne, nel film della regista libanese, non sono donne qualunque: sono le madri, le figlie, le sorelle… il dramma sociale diventa dramma familiare!
E sono loro che devono tessere la trama dilaniata dai conflitti pseudo religiosi. Gli uomini son presentati come degli attaccabrighe, buoni a nulla, dediti ad acciuffarsi per futili motivi per un insano orgoglio maschile.
Sono le donne che devono ordire le trame per una nuova tela capace di riunire il tessuto sociale dilaniato e lo fanno usando la loro peculiarità femminile… portatrice di vita. Anche i responsabili religiosi, alfine insieme, si convincono: “Se noi diamo retta a queste donne si apriranno molte porte in paradiso”. Così organizzano, con la collaborazione dei religiosi, una grande festa a base di …. gioia di vivere! Come in un music hall (ci ricorda certe scene di West side story, e qui si sente la precedente esperienza di Nadine come Vj) le donne del villaggio preparano un mix esplosivo a base di Bacco, Tabacco e Venere, gli ingredienti del piacere di vivere, coinvolgendo i loro uomini che si ritrovano uniti senza barriere di sorta perché è la vita a prendere il sopravvento.
Una sorta di trance collettiva in cui si sperimenta la possibilità di convivenza al di la delle contrapposizioni ideologiche. Il film termina con una processione funebre al piccolo cimitero ancora diviso tra cristiani e musulmani. Dove seppelliranno il defunto? E ora dove andiamo? La Labaki pone questo problema agli spettatori e al mondo intero a conclusione del suo lavoro che si colloca nelle problematiche attuali delle popolazioni del Medio Oriente.