domenica 22 maggio 2011

Baci mai dati

il business della speranza nell'ultimo film di Roberta Torre

È sicuramente una coincidenza il discorso sulla beatificazione di Papa Woytila tenuto dal pontefice Ratzinger proprio il 1 maggio il giorno dell'uscita del film Baci mai dati di Roberta Torre.
Il film, infatti, parla proprio della Speranza, coinvolgendo in qualche maniera il clero che, nella gestione di quest'ultima ha da sempre detenuto il primato.
Ratzinger ha ricordato come Wojtyla abbia riconquistato la «carica di speranza, ceduta al marxismo e al mito del progresso, e l’ha restituita al cristianesimo».
La speranza, per il Catechismo della Chiesa cattolica rappresenta una delle tre virtù teologali e viene definita come: «l'attesa fiduciosa della benedizione divina e della beata visione di Dio», per noi comuni mortali è lo stato d'animo di chi versa in stato di necessità ed è fiducioso in avvenimenti futuri desiderati di cui non conosce le esatte possibilità del loro avverarsi. In entrambi i casi è una proiezione mentale che operiamo quando ci troviamo in uno stato di bisogno, di mancanza, e tendiamo a colmarlo.

Roberta Torre ambienta la sua storia in un quartiere popolare siciliano tra palazzoni di cemento, privo di verde attrezzato e i minimi servizi comunitari, come sono quasi tutte le periferie cittadine. Il film apre con la scena della inaugurazione di una statua della Madonna che viene ‘scoperta’ al centro di una grande piazza. Collocata in un deserto urbanistico, privo degli arredi urbani essenziali (non una panchina) sembra essere il monumento all'inutilità, ed è proprio attorno a questa statua che ruota tutto il racconto. In una famiglia che fatica a sbarcare il lunario non c'è posto per l'affetto: la madre (Donatella Finocchiaro) troppo impegnata nel suo precario lavoro ed a imbellettarsi per nascondere l'età che avanza, il padre (Beppe Fiorello) improbabile allenatore di una squadretta di calcio locale, e le due figlie, diversissime tra loro, che galleggiano in questo marasma del tran tran quotidiano fatto di litigi, insulti e banalità da sottoproletariato (se ancora oggi si può usare questo termine).

La figlia adolescente (l'esordiente Carla Marchese) però fa dei sogni premonitori, o almeno così sembra, tanto che fa trovare la testa della statua della Madonna staccata e nascosta da due balordi che giocavano a pallone nella piazza.
La voce si sparge e ben presto la ragazza viene assalita da questuanti di tutte le specie: uno spaccato dei bisogni delle problematiche più comuni, dalla raccomandazione per un posto di lavoro, ai classici numeri all'otto. La madre organizza il tutto e il prete del quartiere (Pino Micol) non disprezza, anzi ... aiuta la giovane a rifarsi un look più ‘consono’ al suo nuovo ruolo di confidente di Maria e dispensatrice di ‘miracoli’…
Il business della speranza coinvolge, suo malgrado, la ragazza e tutto il quartiere, il parroco non ne è esente, ma cerca di controllare e far confluire richieste e speranze nell'alveo della Grande Madre Chiesa.
Con questo film la Torre denuncia con lucidità, e un pizzico di folklore, lo sfruttamento della povertà, del bisogno con gli stratagemmi che siamo abituati a vedere. Ricordate il Regina Pacis di San Foca e l’affaccendato don Cesare lo Deserto che ‘accoglieva’, con un vigore forse spropositato, le moldave proteggendole amorevolmente sotto la sua tunica clericale? E i processi che lo vedevano imputato di violenze che fine hanno fatto? Fonti certe lo danno in Moldavia a proseguire la sua opera pia, lontano dagli occhi indiscreti dei giornalisti occidentali. Certo, don Cesare la Madonna non l’ha vista mai, ma in quanto a far fruttare speranze e bisogni è proprio un gran manager.

La ragazza invece, che la Madonna l’ha sognata davvero, viene stravolta dal business prontamente innescato dalla madre insieme col parroco e tra le tante visite si presenta una ragazza non vedente con la quale riesce a instaurare una profonda relazione di amicizia. Tra di loro nasce l’affetto, le emozioni, le attenzioni, l’essere ascoltate, tutto ciò che non hanno avuto in famiglia e che non trovano neanche tra i loro coetanei: I baci mai dati!
E qui la regista da il meglio di se dandoci la possibilità di entrare nel mondo delle adolescenti con una profondità straordinaria: una generazione sola, abbandonata dagli adulti che non hanno il tempo di comprendere e comprendersi, completamente fagocitati dalla frenesia di una società ormai ripiegata in se stessa che non ha il coraggio di guardare all’esterno.
L’incontro empatico tra le due giovanissime risulta terapeutico: la non vedente… vede!

Il parroco accorre per stimmatizzare il miracolo ma nell’incontro tra le due giovani adolescenti, che si abbracciano in mezzo alle numerose persone accorse, vi è uno sguardo che solo loro due intendono e lo trasmettono agli spettatori: non cerchiamo all’esterno la felicità perché
Il vero miracolo siamo noi!