sabato 4 giugno 2011

Non c’è nessuna signora a quel tavolo di Davide Barletti e Lorenzo Conte (2010)



Cecilia Mangini, si staglia sul fondo nero di una scenografia scarna ma essenziale dove scorrono, alle sue spalle, brani dei suoi film, fotografie ed altri elementi che costituiscono il racconto della sua vita professionale: la storia di una donna che ha attraversato ilsecolo breve lasciando una traccia indelebile del “come eravamo”.

I suoi film sono connotati da un forte impegno sociale a favore degli ultimi, degli emarginati dalla società. Il suo primo film, Ignoti alla città (1958) in collaborazione con P.P.P Pasolini mostra l’umanità che pulsa in un quartiere periferico nelle borgate di Roma e uno degli ultimi: La briglia sul collo (1072) segue le vicissitudini di un bambino caratteriale che diverge dalle regole imposte da un modello educativo che ci vuole tutti perfetti e in riga per due.

Ho citato solo questi dei suoi molteplici lavori per dare un idea della suo approccio alle problematiche esistenziali della società della quale è divenuta testimone attiva.

Il film documentario del duo salentino Barletti – Conte, è un lavoro prezioso che ricostruisce le tappe fondamentali dei lavori di una delle più importanti registe italiane del dopoguerra. Le immagini molto pulite sono trattate con grafica animata che colloca il personaggio narrante nel suo ambiente di lavoro: moviole, pellicola, proiettore.

Il racconto cinematografico si sviluppa attraverso ricordi, dichiarazioni, spezzoni di film, che ripercorrono la storia dell’italietta dal dopoguerra fino ai nostri giorni. Il montaggio è serrato e non cede mai all’agiografia di repertorio, proponendo invece un linguaggio innovativo nelle forme che risultano abbastanza pertinenti col contenuto, come il ricorso ad una vecchia macchina da scrivere che scandisce, come dei capitoli, le keywords della vita professionale della Mangini.

Una moviola fa scorrere pezzi di pellicola che animano il focus dei suoi film: la Fabbrica (Brindisi ’66, 1965), la condizione femminile (Essere donne, 1965), l’interesse antropologico (Stendalì,1959, La canta delle marane, 1961), l’inchiesta sociale (L’altra faccia del pallone,1972).

La Mangini si racconta e ci racconta un Italia che a fatica riesce a riprendersi dal periodo del dopoguerra e testimonia come il cinema (a partire dal neorealismo) abbia influenzato la costruzione di una coscienza sociale nazionale pur nelle diversità territoriali. Un Sud avvilito e stravolto da un modello di sviluppo industriale che provocava da una parte lo svuotamento demografico delle nostre regioni e dall’altra una perdita della propria identità di cultura contadina che non riusciva a dialogare con le esigenze di modernità che si andavano delineando in quegli anni.

L’incontro con la regista e gli autori è stato quanto mai interessante: due generazioni a confronto hanno trovato un punto di incontro nel cinema: il non-luogo dove i pensieri prendono la forma della coscienza di un passato che vive nel presente.